Le 8 migliori strategie di studio per i pianisti
di Noa Kageyama (traduzione di Giulio De Luca)
Tutti noi abbiamo sentito dire la frase “non studiare di più, studia in maniera più intelligente”, ma cosa vuol dire questo realmente? Cosa rende lo studio realmente più “intelligente”? Una ricerca di studiosi universitari di pianoforte suggerisce che tutto sta nel modo in cui sappiamo gestire gli errori.
Una volta che i miei figli stavano praticando (malvolentieri) le loro mosse di Tae Kwon Do, mi sorpresi a imporre al più grande che avrebbe dovuto ripetere cinque volte ogni mossa prima di avere il permesso di ritornare al suo videogame.
Il mio obiettivo, naturalmente, non era che lui arrancasse semplicemente per cinque volte attraverso i movimenti della sua mossa come una specie di zombie svogliato, quanto piuttosto che riuscisse a farla una volta sola con buona forma ed impegno. Tuttavia il genitore che è in me trova rassicurante la convinzione che ripetere una cosa un certo numero di volte porti comunque ad un risultato di qualche tipo. Al di là dell’(errato) presupposto che questo per qualche magica via porterà ad un consolidamento delle sue abilità, esso ha in un certo modo l’apparenza di una sorta di sentiero verso una sempre maggiore autodisciplina, ed anche una maniera di instillare nei ragazzi una certa “etica del lavoro” che potrà risultare utile nella loro vita futura.
E’ vero che una certa perdita di tempo e ripetizione è necessaria per sviluppare ed affinare le nostre abilità, chiaramente. Ma comprendiamo anche, se non altro a livello intuitivo, che per massimizzare i risultati occorre lavorare “non DI PIU’, ma in maniera PIU’ INTELLIGENTE”.
Ma in fin dei conti, cosa vuol dire questo esattamente? In cosa si differenziano dagli altri i migliori studenti? Cosa fanno realmente di “diverso”?
Studiare Shostakovich
Un gruppo di ricercatori guidati da Robert Duke della Università di Austin in Texas ha condotto uno studio diversi anni fa per vedere se potevano scoprire i comportamenti specifici nello studio che contraddistinguono coloro che suonano meglio e imparano in maniera più efficace.
Diciassette studenti esperti di Pianoforte e di Didattica del pianoforte hanno accettato di imparare un passaggio di 3 misure dal Concerto n. 1 di Shostakovich. Il passaggio conteneva alcuni elementi laboriosi, il che lo rendeva di non agevole lettura a prima vista, ma allo stesso tempo non vi era nulla di così impegnativo da non poter essere risolto in un’unica sessione di studio.
Le regole dell’esperimento
Agli studenti venivano dati 3 minuti per riscaldarsi, dopodiché veniva fornito loro l’estratto di 3 misure da studiare, un metronomo e una matita.
Ai partecipanti veniva consentito di studiare per quanto tempo volevano, ed erano liberi di andarsene quando sentivano di aver finito. Il tempo di studio che fu utilizzato variò non di poco, passando da 8 minuti e mezzo a poco meno di 57 minuti.
Per essere sicuri dell’attendibilità del test del giorno dopo, a loro fu specificamente raccomandato di non studiare più il passaggio nelle successive 24 ore, neanche a memoria.
24 ore dopo…
Quando i partecipanti ritornarono per il test il giorno successivo, gli furono dati due minuti per riscaldarsi e poi gli fu chiesto di ripetere l’intero passaggio di 3 misure da capo a fondo 15 volte di seguito, senza fermarsi ( a parte la normale pausa tra una ripetizione e l’altra).
Ciascuna delle performance dei pianisti furono quindi valutate e classificate secondo due differenti criteri: il primo e più importante era quello di suonare le giuste note col giusto ritmo; ma i ricercatori classificarono le esecuzioni dalla migliore alla peggiore basandosi anche sul tono, le intenzioni e l’espressività.
Tutto questo ha portato innanzitutto ad alcuni risultati interessanti:
a) Studiare più a lungo non ha determinato più alti posizionamenti in classifica;
b) Neppure ripetere più volte il passaggio ha determinato una migliore classificazione;
c) Persino il numero di volte che hanno suonato correttamente nello studio non ha avuto influenza sulla loro classifica.
Ciò che invece realmente influiva era:
a) Quante volte essi avevo suonato il passaggio sbagliato. Più volte essi avevano suonato male il passaggio in studio, peggio si erano classificati alla fine.
b) La percentuale di tentativi corretti di studio: più grande era la percentuale di tentativi corretti di esecuzione in studio, più alta tendeva ad essere la classificazione finale.
Le migliori 8 strategie
Alla fine le esecuzioni di 3 pianisti si distinsero dalle altre, e furono descritte come aventi “tono più coerente, maggiore precisione ritmica, miglior carattere musicale (inteso come dinamica ben direzionata ed inflessione ritmica), nonché un’esecuzione più fluida”.
Al momento di andare a dare uno sguardo più attento ai video delle sessioni di studio, i ricercatori identificarono 8 distinte strategie di lavoro che erano comuni ai pianisti più bravi, e che invece ricorrevano meno frequentemente nelle sessioni degli altri.
1) Suonare a mani unite sin dall’inizio dello studio
2) Studiare con la giusta inflessione sin dall’inizio, di modo che la stessa concettualizzazione della musica fosse sin dal principio con la giusta inflessione
3) Pensare molto durante lo studio, come testimoniato da lunghe pause di silenzio mentre si osservava attentamente lo spartito, o dal fatto di canticchiare o mugugnare, scrivere appunti sulla parte, o borbottare tra sé e sé
4) Prevenire gli errori, magari fermandosi prima di commetterli
5) Affrontare immediatamente gli errori non appena si manifestavano
6) Identificare accuratamente il preciso luogo e fonte di ogni errore, studiarli e correggerli
7) Variare sistematicamente la velocità all’interno di ciascun tentativo di esecuzione, facendolo capitare in maniera del tutto logicamente comprensibile (ad esempio rallentando l’esecuzione per eseguire i passaggi laboriosi in maniera corretta)
8) Ripetere i passaggi da studiare fino a quando l’errore non era stato corretto ed il passaggio stabilizzato, come provato ad esempio dall’assenza dell’errore nell’esecuzione successiva
Le migliori tre strategie
Di queste 8 strategie ora citate, ve ne furono 3 che furono usate da tutti e tre i migliori esecutori, e raramente usate dagli altri. Per essere precisi, solo due degli altri pianisti ne usarono più di una.
6) Identificare accuratamente il preciso luogo e fonte di ogni errore, studiarli e correggerli
7) Variare sistematicamente la velocità all’interno di ciascun tentativo di esecuzione, facendolo capitare in maniera del tutto logicamente comprensibile (ad esempio rallentando l’esecuzione per eseguire i passaggi laboriosi in maniera corretta oppure accelerarla per mettere alla prova se stessi)
9) Ripetere i passaggi da studiare fino a quando l’errore non era stato corretto ed il passaggio stabilizzato, come provato ad esempio da assenza di errore nell’esecuzione successiva.
Qual è il filo comune che le lega tutte insieme?
I ricercatori fanno notare come la differenza più vincente tra i tre migliori pianisti e gli altri sta nel modo in cui essi hanno maneggiato gli errori. Non è che loro avevano fatto meno errori sin dall’inizio, o che semplicemente imparavano più facilmente il passaggio.
Anche essi facevano degli errori, e tuttavia riuscivano a correggerli in modo tale da evitare di ripeterli in continuazione, il che li portava ad una proporzione complessivamente maggiore di tentativi corretti.
E una che le domina tutte
I tre migliori performer utilizzavano una gran varietà di metodi di correzione dell’errore, come ad esempio suonare a mani separate, oppure suonare solo un estratto del passaggio, tuttavia una fu la strategia che mostrò avere maggiore impatto:
Rallentare in maniera strategica
Dopo aver commesso un errore, i tre pianisti “bravi” risuonavano il passaggio di nuovo, però rallentando e persino esitando – senza mai fermarsi- giusto prima del punto in cui avevano commesso uno sbaglio nel tentativo precedente di esecuzione. Questo consentiva loro di suonare il passaggio difficile con maggiore accuratezza, e presumibilmente anche di coordinare i corretti gesti motori alla velocità in cui questo era possibile, piuttosto che continuare a commettere errori, senza peraltro riuscire ad identificare la precisa natura del singolo errore, il problema tecnico che stava alla base, e ciò che avrebbero dovuto cambiare nel tentativo successivo.
Morale
“Il successo non consiste nel non commettere errori, ma nel non rifare lo stesso errore una seconda volta” (G.B.Shaw)
Articolo originale in inglese al seguente link